1.
Il successo di Poor Things (Povere creature) di Yorgos Lanthimos[1] sparge un profumo epocale. Amiche ambiziose mi hanno fatto capire che Bella – la protagonista del film – è il loro ideale femmineo. Vorrebbero essere come lei, la creatura del mostruoso Dr. Godwin Baxter (Godwin: dio-vincere): spontanea, curiosa del mondo e, ovviamente, bella.
E – va precisato – molti uomini vorrebbero in fondo avere una donna come Bella. Diciamo che la aspettano al varco della maturità, come il timido Dr. Max McCandles, che alla fine, dopo il lungo Erasmus di Bella, verrà da lei accettato come marito.
Diventerà Bella il prototipo ideal-tipico delle donne di un’epoca, come lo furono ai loro tempi la principessa di Clèves, Natasha di Guerra e pace, Lou Andreas-Salomé e Simone de Beauvoir, Thelma e Louise?
I paragoni con Frankenstein erano scontati, e in effetti Godwin era il cognome da ragazza di Mary Shelley, autrice del Dr. Frankenstein[2]. Anche se qui l’handicap si rovescia: è il creatore (Godwin) ad avere un aspetto mostruoso e inaccettabile per qualsiasi donna, mentre la creatura (Bella) è affascinante e tanti uomini la vogliono. La mostruosità slitta dalla creatura al creatore.
Ad alcuni Bella ha fatto pensare piuttosto a Pinocchio[3]. È la versione femminile modernista di Pinocchio, altra creatura ambigua. Pinocchio non è affatto “un bravo bambino”, è un briccone incontrollabile, e proprio per questo lo troviamo simpatico e umano. La discola Bella è spesso politicamente scorretta – per esempio, cosa pensa una femminista DOC del fatto che Bella lavori come prostituta per un certo periodo in un bordello parigino e non se ne penta affatto? Ma proprio per questo è fresca, pur essendo creatura di alta chirurgia, mentre Pinocchio è creatura di un artigianato rurale. Il personaggio di Bella, Candide voltairriana postdatata in un’epoca vittoriana steampunk, non serve una propaganda ideologica – anche se tanti misteriosamente la vedono, la propaganda – ci fa solo gioire della propria singolarità.
2.
Nel XIII° secolo l’imperatore Federico II di Svevia effettuò un esperimento con cavie umane: proibì che si parlasse a dei neonati, che fece allevare assieme. Voleva sapere se, non venendo mai esposti a una lingua precisa, avrebbero finito col parlare spontaneamente… quale lingua? Era un modo per scoprire, secondo lui, la lingua originaria degli esseri umani. Peccato che i bambini, privati della parola delle nutrici, morirono tutti. Noi, che abbiamo letto René Spitz, lo avremmo previsto.
Nel XVIII° secolo fiorì tutta una letteratura di esperimenti sugli umani per scoprire l’uomo e la donna originari. In La dispute di Marivaux (1744), quattro bambini, due maschi e due femmine, vengono allevati in isolamento per verificare se, una volta adulti, l’infedeltà amorosa venga dall’uomo o dalla donna. In seguito, appassioneranno i bambini selvaggi, bambini che hanno vissuto solo con animali feroci e che quindi non sono mai stati esposti al linguaggio. Truffaut fece un film, L’enfant sauvage, su uno di questi bambini trovato nell’Aveyron nel XIX° secolo. Celebri le due bambine bengalesi Amala e Kamala allevate, pare, da lupi – cosa che ispirò a Kipling Il libro della giungla[4].
Che cosa nel fondo si cercava e si cerca in queste vite prive di un’infanzia acculturata?
La risposta a un enigma filosofico: al di là di quelle che oggi chiamiamo acculturazioni, che variano da epoca a epoca e da società a società, c’è un modo di essere uomini o donne incondizionati, autentici, veri? Bella è il più recente esperimento mentale via arte che cerchi di dare risposta a questo assillo. Ovvero: come posso essere libera/o da ogni condizionamento sociale, pur vivendo in una determinata società?
Bella non ha infanzia, o meglio ce l’ha cortissima, in quanto lei è un cervello di feto trapiantato al posto del cervello della sua giovane madre morta suicida. La nostra quindi subisce due educazioni simultanee e quindi fulminee: quella infantile si sovrappone a quella della donna adulta. Deve imparare allo stesso tempo come si tiene un cucchiaio e come ci si comporta con un uomo a letto.
Si dà il caso che Homo sapiens sia un animale neotenico, ovvero nasca con un cervello embrionale, da qui la necessità di una lunghissima infanzia, durante la quale il piccolo deve apprendere tutto ciò che gli altri mammiferi sanno nascendo – a parte la lingua, un sapere riservato alla nostra specie, si pensa.
L’argomentazione del film può quindi essere formulata così: che donna sarebbe una che nascesse già adulta, pronta a riprodursi, ma con una mente infantile? Poor things è un Bildungsroman, un romanzo di formazione dove però la formazione si fa da grandi.
Bella, la creatura partorita da questo gelido esperimento epistemologico, è impersonata da Emma Stone, grazie a cui la protagonista ci tocca con la sua grazia, ci fa ridere eppure si fa amare per la sua innocente sfrontatezza. Bella esercita quella che i greci chiamavano parrhesia, quel parlar franco che nell’Antichità solo i filosofi potevano permettersi. I suoi atti ci accattivano in quanto mescolano in modo faceto modi di fare sia infantili che adulti. Più che motti sono atti di spirito talvolta irresistibili.
Per esempio, Bella partecipa a una cena formale con persone eleganti, fa del suo meglio per sembrare una signora pur avendo l’età mentale di una bambina di sette anni. Qui poi sputa nel piatto un cibo che non le piace, e quando sente un bambino piccolo che frigna, si alza decisa per riempirlo di botte…
Bella non è condizionata da alcuna figura materna. Il suo amore infantile è per God, scienziato di ghiaccio, vecchio vergine col volto sfigurato, allegoria della divinità dei moderni: la Scienza-Tecnologia, di cui le biotecnologie sono un ramo particolarmente inquietante. Bella passa la sua rapidissima infanzia non tra le vive cure materne ma attorniata dai cadaveri nudi che il padre God seziona. La sua scuola primaria è l’obitorio. Insomma, la sua educazione è puramente analitica, scientifica, non conosce quell’abbraccio sintetico che attribuiamo alla maternità. Priva di ogni educazione religiosa, è libera di usare il pianoforte su cui può strimpellare senza regole. Bella, madre di sé stessa, è allevata essenzialmente dalla maschilissima Tecnica.
3.
Che cosa allora risulta come originariamente femminile da questo film?
Se fosse una dimostrazione filosofica, giungerebbe a queste conclusioni:
- La donna ha una sfrontata e continua voglia di sesso, che la porta a una potenziale poliandria.
- La donna non ha alcun pudore per il proprio corpo e la propria sessualità, nessun senso di colpa. Bella, educata da un dio-padre, sembra sprovvista di Super-io.
- Non è abitata da alcun istinto materno.
- La donna però ha una pietà istintiva per i deboli, in particolare per i bambini. L’attrazione di Bella per il socialismo insinua che una vera donna sia socialista.
- La donna non è pronta a legarsi perdutamente all’uomo amato, invece sa sfruttare l’urgente bisogno maschile della donna per tenerlo al guinzaglio.
- Non desidera uccidere, non è distruttiva. La sua aggressività è soprattutto sessuale.
- La donna è disponibile alla riflessione filosofica. Questo presuppone che, dopo tutto, quella per la filosofia sia un’attrazione infantile, originaria. Wittgenstein diceva che le questioni filosofiche giuste sono poste dai bambini.
- Ciò non impedisce alla donna di prostituirsi (o almeno di fantasticarlo) ovvero di farsi puro oggetto di divertimento nelle mani di uomini che dominano non con il pene, ma con il danaro. La fantasia di molte donne di essere violentate o di prostituirsi – come aveva notato scandalosamente la psicoanalista Helen Deutsch – non significa affatto, come si crede, un originario desiderio femminile di sottomissione, ma al contrario, una barocca volontà di dominio che si realizza attraverso il suo contrario. She stoops to conquer[5]. È facendosi oggetto per l’uomo che la donna lo fa suo soggetto, lo domina. “Aver bisogno di un padrone per dominarlo” disse Lacan.
- Ma, alla fine, la donna non più giovanissima si placa dedicandosi a… la scienza e al matrimonio. Bella alla fine sposa proprio il medico che God aveva previsto per lei e studia come chirurga, insomma, segue le orme del “padre”. L’ideale della donna insomma è: essere solo figlia del padre, di un padre-che-sa. La medicina, poi, unisce il rigore del materialismo al bisogno filantropo di cura dei fragili.
Alcuni si sono sorpresi per questo finale ben poco femminista del film. E in effetti, secondo me, Poor things non è affatto un film femminista. Lo si è qualificato tale per stanca inerzia ermeneutica. Direi anzi che questo film segna probabilmente il superamento storico della stagione culturale femminista. Dalla donna rivendicativa alla donna sovrana. Non si tratta più di essere eguali agli uomini, si tratta di dominarli.
Basta con l’indignata denuncia della subalternità femminile ieri e oggi! Poor things non fa apostolato per la causa femminile. Bella non critica la cultura patriarcale, sostituita ormai dalla Tecnoscienza, anzi, alla fine si riconcilia con essa: coincide con l’ideale moderno di una donna in una carriera STEM che sa essere anche monogama e che magari darà anche un pupo al suo uomo e alla specie umana.
Il personaggio che all’inizio appare così inumano, Godwin, risulta poi il vero eroe positivo del film. È lui che ha reso possibile l’esperienza allegra e straordinaria della sua creatura. La scienza-patria non produce solo orrori, ma una deliziosa Bella. Morale: il mostro divino che ci domina – la tecnoscienza – può generare piacere e bellezza. La Bildung di Bella è anche una rieducazione mentale dello spettatore.
Il finale “borghese” del film non contraddice affatto il percorso picaro di Bella, inglese come Moll Flanders[6], il personaggio romanzesco a lei più vicino. La protagonista non si assoggetta a una vita rispettabile, la crea da sé, come punto di arrivo di un “viaggio” in cui le prova tutte. La nostra etica prescrive che ogni soggetto non debba seguire una via già tracciata dall’Altro, ma possa sfociare in una strada asfaltata solo dopo aver percorso i sentieri tortuosi e accidentati della propria esperienza singolare. Bella non si metterà a scrivere poesie né diventerà una Nightingale né entrerà in qualche sindacato femminista. Senza mai innamorarsi (forse) di un uomo, accetta in pieno il mondo maschile, in cui una donna non sviene di fronte a un bisturi e non denuncia alla polizia un uomo che la corteggia.
4.
Certe critiche di opere sono ormai riflessi condizionati, e uno dei pavlovismi è vedere in questo film il solito reclamo femminista anche se, di fatto, non ve ne è traccia.
Una recensione di Wired lamenta che il film reitera la denuncia della “famiglia [come] una gabbia che contiene in piccolo tutte le forme di prevaricazione sociale e violenza che sono proprie della società”.
Evidentemente il recensore ha visto tutto questo per una sorta di automatismo mentale. In realtà Bella non ha alcuna famiglia. Ha un padre-Dio che le lascia completa libertà, tranne quella di uscire da sola fino a un certo punto della sua “infanzia”.
Bella non compie nessuna rivoluzione familiare: quando, pur essendo immatura, se ne va via di casa, “il padre” non cerca di trattenerla. Bella se ne va non per ribellarsi ma per seguire il principio o principe del piacere.
E non c’è alcuna denuncia della società patriarcale, dato che il “mostro” Godwin non è affatto un patriarca – e alla fine Bella seguirà la scia del mostro. Padre di Bella è il materialismo scientifico oggi dominante, che rigetta ogni etica trascendente. La sperimentazione positivista di cui Bella è oggetto – un’educazione completamente non-materna, non sentimentale – ha successo: la “bambina” se la cava benissimo. Godwins.
Nelle pieghe del film colgo una critica implicita a una psicologia dominante che vede il destino di ogni essere umano scritto nei suoi rapporti con la mamma onnipotente nei primissimi mesi di vita. Bella, essendo madre di sé stessa, non ha madre.
E le figure femminili che hanno un qualche valore per Bella non sono affatto materne: una nobildonna che se la spassa con le belle eccentricità, la tenutaria del bordello in cui lavora, e una simpatica puttana sua collega che la inizia al socialismo.
Inoltre, Bella rovescia il tema più che mai vittoriano della donna fuori-dei-ranghi che la buona società emargina o perseguita. Esempio: la Sarah del The French Lieutenant’s Woman di John Fowles, emarginata dalla buona società perché si dice che abbia avuto un amante. Bella non patisce affatto la propria non-conformità, al contrario, in tanti le vogliono bene. La violenza maschile da parte del marito della madre di Bella di cui lei conserva le fattezze, il sadico generale Blessington (nome più che mai ironico), è ben presto neutralizzata e il generale è trasformato in una capra mentale – un rovesciamento buffo del capro espiatorio.
Il film dice: questo potere patriarcale è tutto una farsa!
Abbondano gli anacronismi. Bella se ne va a passeggio per Lisbona con una minigonna gialla… in epoca vittoriana. Ma è ancora più anacronistico il fatto che nessuno ci faccia caso. Il cliché della repressività vittoriana viene smaccatamente rovesciato nell’immagine di un’epoca che non aspettava altro che ragazze come Bella. La sceneggiatura del film è persino ridondante su questo punto: Bella non è vittima di alcuna repressione. Non viene punita, anzi, lei trionfa sempre.
Poor things non è critica ma solo – per noi tutti ancora indigesta – argomentazione: “uomini poco empatici e del tutto antipatici sono i migliori educatori di una prole senza la zavorra materna”.
NOTE
[1] Tratto dal romanzo di Alasdair Gray.
[2] Frankenstein, or: The Modern Prometheus (1818). Il nome è un omaggio al padre di Mary Shelley, William Godwin, filosofo politico tra i primi teorizzatori dell’anarchismo. Ricordiamo anche che la madre di Mary, Mary Wollstonecraft, fu una delle primissime filosofe femministe, autrice di A Vindication of the Rights of Woman (1792).
[3] Filippo Barosi. Recensione a ‘Povere creature’, SpiWeb, 2-II-2024, https://www.spiweb.it/cultura-e-societa/cinema/recensioni-cinema/povere-creature-di-y-lanthimos-recensione-di-f-barosi/
[4] Questo filone di storie di vite manipolate da esperimenti scientifici giunge fino a Trading places (Una poltrona per due) di John Landis (1983). Due ricchi finanzieri newyorchesi si affrontano in una controversia filosofica se sia la classe sociale di origine la vera causa dello status economico, o se sia lo status economico a determinare la classe sociale.
[5] “Lei si abbassa per conquistare”. Titolo della commedia di Oliver Goldsmith (1773).
[6] The Fortunes and Misfortunes of the Famous Moll Flanders (1722) di Daniel De Foe. Anche la morale della storia di Moll è del tutto immorale. Questa donna ha cinque mariti (di cui uno incestuoso), è stata ladra, prostituta, deportata in America, poverissima e ricchissima… e finisce benissimo come una ricca gentlewoman. Erano questi i modelli femminili nel primo XVIII° secolo.